da “DOVE COMINCIA L’UOMO. IBRIDI E MIGRANTI: UNA BREVE STORIA DELL’AVVENTURA UMANA” di Tielmo Pievani e Giuseppe Remuzzi (Solferino, 2025)
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Due studi, pubblicati su Science, di ricercatori che lavorano negli Stati Uniti, dimostrano in un modo estremamente sofisticato che l’uomo ha potuto evolvere e sopravvivere grazie alla capacità di cooperare. Fin dall’inizio della nostra storia la competizione fra gruppi di individui avrebbe paradossalmente fatto emergere quelli più orientati all’altruismo. Tra questi gruppi si sarebbero diffusi geni ‘prosocial’ (che predispongono alla cooperazione, appunto). L’aspetto più straordinario di questa teoria è che l’altruismo emergerebbe dalla competizione fra gruppi e che l’evoluzione dipenderebbe dalla capacità di collaborare pur in un ambiente estremamente competitivo. Collaborare porta a specializzarsi e questo aumenta la diversità e migliora la specie. Quando gruppi di individui cominciano a collaborare, l’organizzazione della società raggiunge un livello più alto. Così l’uomo è uomo (e lo scimpanzé e scimpanzé) non solo perché i geni dell’uno e dell’altro mutano in modo diverso nel tempo o perché la selezione naturale consente agli individui migliori di emergere, ma anche perché in certe circostanze emergono geni che favoriscono l’altruismo e in altre no.
Mutazioni e selezione naturale sono i due pilastri dell’evoluzione.
La predisposizione genetica a cooperare è probabilmente il terzo. E’ forse il segreto di un’evoluzione che per l’uomo non finisce mai. Ecco perché gli uomini collaborano così tanto e gli animali, anche quelli vicino a noi nella scala dell’evoluzione, così poco. Ecco perché i bambini piccoli sono già orientati ad aiutare gli altri, perfino chi non conoscono, senza avere nulla in cambio. Ed ecco perché qualcuno di noi dona il sangue, o il midollo osseo, o un rene.